In molti casi il dolore può essere trattato individuando e disattivando i trigger point, zone della muscolatura teorizzate e descritte da Travell e Simons.
Quali caratteristiche hanno questi trigger point? Si tratta solo di una teoria o è possibile avere un riscontro oggettivo a supporto di questo approccio terapeutico?
I risultati sui pazienti che ho trattato non mi lasciano dubbi sull'efficacia della tecnica che ho imparato grazie al ricercatore italiano che l'ha ottimizzata, Francesco Ticchi.
Per quanto riguarda l'aspetto scientifico, a supporto della tesi di Travell e Simons esiste un interessante studio del 2011 condotto sul dolore cervicale ha rivelato la possibilità di rilevare con appositi strumenti le zone classificate come trigger point attivi (cioè con dolore spontaneo) e latenti (cioè con dolore alla palpazione).
Tali strumenti sono l'ecodoppler e la sonoelastografia, quest'ultima una recente tecnica ecografica in grado di rilevare con oggettività la durezza di un tessuto, fino a pochi anni fa apprezzabile solo affidandosi alla sensazione palpatoria da parte di un operatore.
Queste sono le immagini ecografiche di un muscolo trapezio (in alto) e loro elaborazioni digitali per calcolare l'area dei trigger point nelle zone più rigide. 0: durezza e ecogenicità uniformi; 1: immagine disturbata, nodulo non ben individuabile; 2: banda di tessuto tesa; 3: nodulo (zona di maggior durezza ben focalizzata); 4: noduli pultipli. Le frecce rosse e i contorni rossi indicano aree e zone focali di trigger point.
Se vuoi leggere una breve introduzione su cosa sono i trigger point e sul loro trattamento, visita questa pagina.
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